
Lo studio
La stimolazione transcranica a corrente continua, secondo gli studiosi, modula i potenziali di membrana neuronali a riposo, per facilitare o inibire il livello della scarica neuronale. Per ottenere effetti antidepressivi si invia a livello della corteccia prefrontale dorsolaterale di sinistra una corrente anodica o facilitatrice, che aumenta l’eccitabilità corticale. La corrente catodica, al contrario, serve a ridurre l’eccitabilità neuronale. Nello studio sono stati osservati 48 pazienti con PSD metà dei quali hanno ricevuto 12 sessioni di corrente continua di 30 minuti ciascuna per oltre 6 settimane, mentre l’altra metà ha assunto antidepressivi. Al basale, tutti i partecipanti avevano un punteggio della Hamilton Depression Rating Scale di 17, che dopo sei settimane si era ridotto a una media di 4,7 punti in tutti e due i gruppi di pazienti trattati. Gli autori hanno concluso che la tDCS è stato un trattamento sicuro ed efficace per la depressione post-ictus e non ha causato alterazioni cognitive né sintomi maniacali. “Il dispositivo – aggiunge Brunoni – presenta alcune caratteristiche interessanti per l’utilizzo nella pratica clinica: la portabilità, la sicurezza e la tollerabilità e ha anche un costo ridotto”. Questo primo studio è stato condotto su un campione molto ridotto, ma il gruppo di ricercatori sta già lavorando su una popolazione più ampia di 240 pazienti. La stimolazione transcranica a corrente continua potrebbe essere usata in combinazione con la terapia cognitivo-comportamentale, che alcuni gruppi di studio stanno apprezzando come strategia promettente. La metodica è indolore e potrebbe essere fatta direttamente nello studio del medico. La metodica tDCS ha il potenziale per diventare un’altra opzione terapeutica in quanto il tasso di efficacia è paragonabile a quello degli antidepressivi. Resta da vedere se questa terapia riuscirà a mantenere la remissione a lungo termine nei pazienti che rispondono e se la sua efficacia potrà essere ulteriormente potenziata, associandola a terapie farmacologiche, magari utilizzate a dosi più basse e quindi meglio tollerate.
Fonte: Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry
Marilynn Larkin
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
